Mentoring in azienda: uso, vantaggi e bilancio dei costi

Giuseppe Laregina. Oltre 30 anni di esperienza in ambito commerciale in Aziende del settore food (Nestlè, Caffarel, Lindt) in ruoli di responsabilità nelle Funzioni Marketing e Vendite in Italia e all’estero. Alla gestione dei prodotti (Marketing) ha preferito quella più coinvolgente delle persone (Vendite) perché diversamente dalle persone i prodotti non si lamentano mai. Ideatore del Progetto “Giovani senza Capo”. Mentor del Progetto Young Women Network. Start Up Mentor di “VeniSIA”, Progetto di Università Ca’ Foscari. Dopo una lunga serie di colloqui è stato ammesso, in qualità di “Stanford Seed Consultant”, a “The Seed Consulting Program”. Un programma di mentoring per startup in Africa ed India di Stanford Business School.

  1. Quali sono i principali benefici del mentoring per lo sviluppo professionale dei dipendenti all’interno di un’azienda, e in che modo può contribuire al raggiungimento degli obiettivi organizzativi?

Perché avviare un Piano di Mentoring ci si potrebbe chiedere, a maggior ragione in aziende che ritengono che tutto vada non bene, ma benissimo (quasi tutte la pensano così …)?

Perché aumento la visibilità dei giovani con potenziale di crescita, aggiorno/allineo competenze e conoscenze, miglioro le capacità sia del mentor che del mentee, smonto in maniera definitiva i silos dei capi che si sentono proprietari della risorsa e lavoro realmente tutti i giorni sulla costruzione di ponti intergenerazionali.

La lista dei benefici è parecchio corposa.

Reclutamento e percorsi di ingresso facilitati, costruzione di un vero Processo di Onboarding, aumento della motivazione, riduzione del turnover (kpi facilmente misurabile), costante aggiornamento della «Cultura» Aziendale navigando tra le Differenze.

A questo possiamo aggiungere un concetto di leadership diffusa, dei Piani di Sviluppo/Successione meglio strutturati, un miglioramento della comunicazione interna (soprattutto quella informale), fidelizzazione dei Dipendenti (altro kpi misurabile), emersione degli «Invisibili», networking interno, il passaggio da Conflitto a Coesione Intergenerazionale e lo sviluppo di un motivato Team di Mentor (Ambasciatori del Mentoring Aziendale).

Un piano strutturato di Mentoring aziendale porta benefici diretti ed indiretti ad una lunga lista di persone all’interno dell’Organizzazione: Il Top Management, i potenziali Mentee e Mentor, i Manager di Linea e la Funzione HR.

 

  1. Come si differenziano il mentoring formale e quello informale, e quali sono i vantaggi e le limitazioni di ciascun approccio nella gestione delle risorse umane?

La risposta sta nella differenza tra le parole formale ed informale, si tratta di differenze e non di scale valoriali (meglio/peggio).

Il mentoring formale presuppone la creazione di un processo che ha una sua struttura che prevede degli obiettivi e dei benefici sia per i singoli che per l’organizzazione. In un contesto informale, ossia senza schemi e senza processo, rischiamo, ad esempio, di non raggiungere gli obiettivi dell’organizzazione.

Un percorso formale prevede formazione a monte per mentor e mentee, definizione di obiettivi condivisi e specifici, un costante aggiornamento. Studi empirici considerano, d’altro canto, come percorsi di mentoring informale creino un più alto livello di fiducia reciproca, del resto manca la sovrastruttura organizzativa.

Il vero obiettivo è cercare di portare a casa i vantaggi dei due sistemi. La struttura formale è l’apparato scheletrico del processo, senza non può esistere nulla di serio, quella informale è la capacità di creare relazioni. Saremo bravi se su una struttura formale di mentoring costruiremo eccellenti relazioni informali.

 

  1. Quali sono le competenze e le caratteristiche chiave di un buon mentore, e quali strategie possono essere adottate per garantire un programma di mentoring efficace all’interno di un’organizzazione?

ASCOLTO: Ossia la capacità di prestare attenzione, di ascoltare attivamente e di rendersi disponibile aspettando il tempo delle risposte.

AUTENTICITA’: Condividere ciò che si sa ora, senza imporlo come verità. Il/la Mentee ovviamente potrà accettare, rifiutare o chiedere ulteriori informazioni. Non giudicare. Condividere i propri errori e non le proprie medaglie.

FIDUCIA: Nel senso di rispettare la riservatezza in maniera totale e nel conoscere i limiti della relazione.

MEMORIA: Agire e pensare tenendo ben presente un aspetto chiave: come si era all’età del/della mentee.

 

  1. In che modo il mentoring può contribuire alla retention del personale e alla promozione della diversità e dell’inclusione all’interno dell’azienda?

Da letteratura per valutare un Piano di Mentoring ci si concentra su alcuni kpi tra cui il tasso di fidalizzazione aziendale prima e dopo ed il tasso di fidelizzazione del gruppo mentor/mentee vs resto popolazione (gruppi statisticamente significativi). La creazione di un buon percorso di mentoring ci porta a mettere al centro del progetto temi che oggi spesso trascuriamo: i mentee, la questione intergenerazionale, la cultura dell’ascolto, il trasmettere/ricevere apprendimento, l’essere autentici. Elementi che necessitano di un atto rivoluzionario, ossia ri-partire dal rispetto reciproco, base imprescindibile per poter imparare, base necessaria per poter insegnare. Inserendo questi elementi per lavorerò ogni singolo giorno su retention, diversità ed inclusione perché sempre meno persone si sentiranno escluse.

 

  1. Oltre a quelli “soft” quali sono i benefici “hard” che ottengo attraverso un buon Progetto di Mentoring?

I vantaggi ci sono anche per il P&L aziendale, se aumento la retention ridurrò il turnover e di conseguenza interverrò in maniera efficace su quelli che sono i costi del reclutamento e di inserimento/formazione dei sostituti. A questo posso aggiungere un altro impatto positivo su, ad esempio, quella voce di costi occulti che trovo nel lavoro non svolto o svolto male per la mancata copertura del ruolo (es: vendite, fabbrica, marketing …).

 

  1. Quali sono i principali ostacoli che le aziende potrebbero incontrare nell’implementare un programma di mentoring, e quali sono le best practice per superarli e massimizzare il valore del mentoring all’interno dell’organizzazione?

Due trappole sono sempre in agguato:

  1. Siamo bravissimi così. Non serve stravolgere la nostra perfezione.
  2. Siamo qui per lavorare, produrre e fatturare. Non abbiamo tempo da perdere.

Per costruire un Progetto di Vero Mentoring servono tre prerequisiti: la consapevolezza di volerlo fare, il coinvolgimento dei vertici aziendali, la qualità dei mentor. Senza meglio non partire.

Dovrò necessariamente rispondere ad alcune domande sul tipo di manager che ho a disposizione.

Si tratta di persone che hanno ben chiaro che l’essenza della leadership consiste nel prendersi cura degli altri? Che sanno delegare senza soffocare? Sono ascoltatori attivi, capaci di cogliere i segnali deboli? Abili nell’esercizio della coachability? Che non usano gli altri come un trampolino per elevare l’Ego? Quotidianamente in grado di trasferire l’Etica dei Comportamenti alle persone di un Team? Un esempio del praticare il concetto di “walk the talk”? Perché se affido un purosangue ad un asino rischio di ritrovarmi con due asini.

I prerequisiti tecnici per avviare un Progetto sono:

  • Definire un Sponsor del Progetto (Vertice Aziendale).
  • Nominare un Responsabile Promozione & Supporto Attività di Mentoring (HR).
  • Creare un Comitato Multifunzionale che supporti lo sviluppo del Progetto.
  • Selezionare e formare i Mentor.
  • Informare i Mentee circa obiettivi e perimetro del progetto.
  • Definire gli strumenti da utilizzare (1-to-1, videocall, telefono, whatsapp, mail …).
  • In contesti multinazionali attenzione alle differenze culturali (diverso non è + o -).
  • Definire gli obiettivi legati ai vari progetti mentoring (es. sviluppo, fidelizzazione, passaggio di ruolo, dialogo intergenerazionale, parità di genere, integrazione …).
  • Definire il processo di abbinamento Mentee/Mentor (imporre non aiuta …).

Perché “Un Mentor è una persona che aiuta un’altra persona ad imparare qualcosa che altrimenti avrebbe appreso meno bene, più lentamente o solo in parte, se fosse stata sola”. Chip R. Bell (saggista e consulente).

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